Dieci dritte per adottare un cane – dritta n. 3

3. selezionare le proposte

Ora che sai che tipo di cane stai cercando e hai deciso di adottarlo (ottima idea capo), non avrai che l’imbarazzo della scelta. Per quanto possa sembrare impossibile, cani di struggente bellezza e carattere raffinato come me, affollano un numero impressionante di bacheche Fb, dietro ogni bacheca virtuale troverai una realtà…reale. Ecco qui però bisogna fare un po’ di attenzione. La maggior parte di queste bacheche appartengono ad umani fantastici, si dannano l’anima per trovarci una casa, una famiglia, ci fanno book fotografici che Ferragni levati, organizzano lotterie, tombole, bingo, defilè, insomma non sanno più che inventarsi per accasarci, ma qualche mela marcia pure lì c’è, quindi occhio. Fortunatamente io sono un cane di mondo e ti spiegherò come sgamarli, che non è poi tanto difficile. Tu dirai ma chi se ne frega, io prendo il mio cane e pure se a darmelo è Pablo Escobar che mi cambia. E no, cambia eccome, perché poi l’Escobar de noantri si convince che è furbo e continua a far danni, e non va bene, non va bene per niente, perché poi a rimetterci siamo noi. Proseguiamo va, che hai ancora da imparare un bel po’ di cosette.

Dieci dritte per adottare un cane – dritta n. 2

2. quale cane fa per me

Ora che hai letto un paio di buoni libri, sai grosso modo: che un tipo pastore maremmano non lo convinci con un croccantino, che a un simil Border Collie gli va anche bene venire con te a fare l’aperitivo, ma devi invitare pure un certo numero di pecore se no si annoia e comincia a radunare le olivette, che un più o meno bassotto non ha quelle caratteristiche fisiche per poter stare in un portanfan ed è, invece, un tipino coi doppi gabbasisi, che un misto segugio ha una concezione del territorio che gli serve per stare bene che tu tradurresti con: “vista area”, che un tipo bull, che poi sarei anche io uno di quelli, non è proprio l’anima della festa ma come noi non ti stalkerizza nessuno. Se poi ancora non ti è chiaro qualcosa, chiedi. Veterinari, comportamentalisti, educatori, addestratori, etologi, chiedi a chi vuoi, basta che non tiri fuori la storia… si ma tanto poi basta l’amore perché se no riparti dal punto 1 e dici pure tre avemaria per penitenza. Mi dirai che mica i canili sono pieni di cani di razza pura, certo che no, anche se un discreto numero di questi amici miei blasonati ora rischi pure di trovarcelo, ma ognuno di noi ha dei caratteri predominanti che permettono di collocarci grosso modo in uno dei 10 gruppi in cui ci avete suddiviso. E’ un punto di partenza, da lì, ti ripeto, chiedi no? E poi torna qui che proseguiamo.

Dieci dritte per adottare un cane – dritta n. 1

Io sono un cane adottato, voglio dirlo subito, così sapete che so di cosa sto parlando. Tanto per iniziare chiediti perché vuoi far entrare un cane nella tua vita. Se la risposta inizia con: ho bisogno di…fermati e rifletti. Io non sono il sostituto di niente, sono un essere dotato di unicità e in quanto tale non adatto ad essere altro che ciò che sono: un cane. Sarò un amico ma non potremo mai sbronzarci insieme; sarò un confidente ma non ti darò mai un parere; sarò parte della famiglia ma al budget ci dovrai sempre pensare tu; sarò una relazione fantastica, e proprio per questo, come per ogni relazione, sarebbe meglio evitare di intossicarla con il bisogno (questa perla di saggezza te la regalo, ma non abituartici), e in ogni caso al massimo il bisognoso sarei io perché, occhio spoiler, io avrò sempre bisogno di te. Detto questo passiamo alle dritte.

  1. Compra un buon libro e studia

Siamo tutti fantastici, ma ognuno di noi ha le sue caratteristiche, come te. C’è quello più sedentario, quello che vuole sempre avere l’ultima parola, il mangione, quello schivo, quello grosso, quello piccolo. Ognuno di noi ha dei caratteri e dovrai capire bene quali sono compatibili con i tuoi, con la tua vita, perché nessuno di noi vuole arrivare e stravolgerla, vogliamo farne parte. Ad esempio, se pesi 40 kg per 1.50 di altezza non ti portare a casa un tipo Husky, sono fighi lo so, con quell’occhio magnetico, ma appena gli infili un collare, Anubi non voglia, una pettorina, a quello torna in mente il Klondike e inizia a tirare come se fosse un capo muta. Poi non ti lamentare! Io ad esempio sono di indole riflessiva, se mi toccava in sorte un runner ci sarebbero state discussioni, invece col mio umano l’unica discussione è su chi si piglia il divano. Capisci? Compatibilità e affinità. Queste sono le parole d’ordine. Quindi comprati un buon libro che parli di noi e impara a conoscerci, così poi possiamo passare al prossimo step. Veloce dai, che ti aspetto domani.

io prima di voi


I miei umani mi fissano: dov’eri prima di noi? che facevi? discutono fra loro: “secondo me era in un brutto giro”; “ma va, non ha un graffio, e poi dai, ma ce lo vedi questo? l’unica competizione cui potrebbe partecipare è la 24ore di divano, dai su?!”. L’umana non si convince, va detto che è un po’ incline alla dietrologia. Io vorrei dirglielo, così per rassicurarla, ma non capisce la mia lingua: io stavo con un umano, uno un po’ strano è vero. camminava piano, anzi perlopiù non camminava proprio, stava seduto su una poltrona, anch’io me ne stavo lì con lui, e mi parlava. Poi mangiavamo e facevamo due passi nei prati. Sempre soli. Quell’umano aveva solo me. Non era male, diverso certo. Poi un giorno è arrivata tanta gente. Mai vista. Dicevano cose come: “finalmente ha tirato le cuoia…la casa la voglio io, tu prenditi i terreni se vuoi e tu i soldi”. Dei soldi, soprattutto, ne parlavano tutti. Tanti soldi. E io? Mi hanno portato in un cortile sporco. E c’era un odore, non lo avevo mai sentito prima, ma lo conosciamo tutti noi animali, l’odore della paura. E c’era anche un umano, grasso. Non mi ha neanche guardato, ha preso uno straccio me lo fatto schioccare sul muso, forte, mi ha fatto male. Mi diceva. dai piglia! E scuoteva quello straccio. A me gli stracci non sono mai interessati, quello poi era tutto unto di grasso, aveva cattivo odore, così non l’ho preso. Mi sono allontanato, pensavo al mio umano, non sapevo dove fosse. Forse si è offeso perchè non ho voluto il suo straccio, ha detto: portatelo via e buttatelo nel primo fosso, non è buono. Ed è andata così, infatti, mi hanno buttato e il resto lo sapete. Vedete non è successo niente. Solo quell’odore e un muso solcato di segni, con occhi selvaggi, che ho visto solo per un attimo, tra due travi sconnesse. Ma di quello non vorrei parlarvi mai.

economia reale vs economia finanziaria

L’economia reale spiegata a sua madre

Il mio umano è preoccupato, lo vedo. Gioca con me, usciamo poco per le mie necessità, insomma solite cose, ma io sono un tipo sensibile, sento l’odore dei suoi pensieri. È preoccupato per la sua mamma. È da sola, un po’ anziana. La chiama tutti i giorni, cerca di farla ridere.

senti, ma che è l’economia reale? perché ora tutti ne parlano, che pare che ci sia un’altra economia, forse questa non è reale, non ho ben capito. Mi pare si chiami finanza
guarda per farla semplice, l’economia reale sei tu, la famosa siura Maria. Mai sentito quel detto: se una Zi Marì chiude il portafoglio a Benevento, un fondo di investimento in UK chiude i battenti?
non mi pare….lo diceva il nonno?
 più o meno. Va cosi. Tu non vai più al Grande Centro Commerciale che fa distribuzione e quindi è l’ultimo pezzo della filiera dell’economia reale, perche è lontano, non puoi prendere il bus e poi magari lì c’è tanta gente (magari, appunto!), e tu adesso hai paura, per via del contagio. Nel centro commerciale, c’è pure la lavanderia, il calzolaio, il giornalaio, quello che vende le mutande e tutta la banda solita e non ci va più nessuno da loro a comprare. E loro non hanno più soldi e non pagano l’affitto dei loro negozi al signor Centro Commerciale, che a quel punto si chiama tenant, ma a te questo non importa. Il centro commerciale, grande, pieno di luci, di prodotti, uno che non te lo immagineresti mai che pure lui ha i suoi guai, ora li ha. Il Centro Commerciale chiama il suo padrone di casa, il grande fondo di investimento in UK, l’economia finanziaria, e gli dice, senti “sto mese non ho i soldi per la pigione, forse pure quello prossimo e mi sa che anche giugno marcherà male, perche prima devo convincere la siura Maria, che c’ha ‘na testa, che levati proprio, che non c’è pericolo, che può tornare qui a comprare”. E li ti voglio vedere caro il mio Fondo di investimento in UK. Moltiplica per alcuni milioni di siure Marie…Ecco la siura in questione ora è conosciuta pure nel mondo dell’economia dei numeri, poco reale, del grande fondo in UK.
o madonna, quindi ora che compro le zucchine, qui sotto da Paolo, sai quello che veniva alle elementari con te, ti ricordi, tanto una brava persona la sua mamma,‘sto tipo, il fondo, magari gli tocca chiudere bottega?
che ne so, può pure essere, oppure no, magari qualcosa si inventa, che i numeri, si sa, sono fluidi, li sposti; diversificare si dice. E’ l’economia reale che è solida e non la puoi spostare di qua e di là come ti pare. Comunque guarda, per Paolo, non stare troppo a pensarci che tanto coi prezzi che hanno sempre avuto le sue zucchine, è solo questioni di tempo che si quoti in borsa pure lui.

…l’ho capita pure io sta storia dell’economia reale, e mi sa che questa è la volta che capiscono tutti…

orgoglio e pregiudizio

Io e i miei umani abbiamo le nostre routine. Le passeggiate, l’area cani, le croste della pizza il sabato sera e poi abbiamo il calcio. Sì, io e il mio umano amiamo il calcio. Ogni quindici giorni, più o meno Luce ci accompagna in un posto. E’ un edificio enorme, luminoso, pieno di gente e di passione. Quando arriviamo accosta la macchina, Pietro scende e l’abitacolo si inonda del profumo dei wurstel arrostiti e di altri odori, non li riconosco tutti ma mi fanno venire l’acquolina in bocca. D’inverno Pietro scende dall’auto e corre da un signore che sta all’angolo con un carrettino, poi torna con un cartoccio di castagne: per il ritorno ci dice. Poi si allontana di corsa annodandosi la sciarpa della sua squadra, si gira due volte a salutarci. È la nostra routine. Porta fortuna, per la partita, dice. Tornando Luce mi fa stare sul sedile dietro e ai semafori sbuccia in fretta due castagne, rimbalzandole fra le mani, perché bruciano. Una ciascuno. Così fino a casa. Ma ora da un po’ non ci andiamo più. Pare non si possa. Sempre per la storia del virus. Allora io e Pietro guardiamo vecchie partite alla tv. Ogni tanto ne scegliamo una, ci sistemiamo sul divano. Io appoggio la testa sulle sue gambe e Pietro mi accarezza, mi spiega i passaggi, le strategie. Il calcio è una faccenda seria. Nonostante sia una cane “di mondo”, con antenati d’oltre oceano, io mi sento sabaudo a tutti gli effetti, dignitoso, riservato e un po’ snob. La nostra squadra è stata fondata 122 anni fa su una panchina, che si trovava in una via vicina al nostro studio e fin da allora è stata oggetto di pregiudizi, come per me, per quelli della mia razza, intendo. Non ti devi preoccupare neanche tu, di quel che pensano di te, mi dice, hai spalle robuste, come la Signora, e un eleganza noncurante su cui scivola, senza appiglio, il livore appannato chi non ti conosce, non vi conosce, veramente. Dimostri anche tu sul campo quel che vali. Ogni volta mi rendi orgoglioso, ogni volta che a smentire quei pregiudizi, ce la fai. Così mi parla Pietro, a voce bassa, mentre guardiamo quegli omini correre veloci sul prato verde.

Giorni strani

Pare che siano giorni strani questi. Lo dicono i miei umani. Guardano dalla finestra, scuotono la testa e ripetono: che giorni strani. Pare sia per via di un virus. Ho ascoltato bene. I cani in questo sono fantastici, ad ascoltare intendo. È per via del fatto che non possiamo parlare. Non possiamo interrompere continuamente i discorsi altrui con considerazioni, inutili per lo più, va detto, e quindi ascoltiamo, tutto, da cima a fondo. Dovrebbe esserci un detto: ascoltare come un cane. Renderebbe l’idea. Quindi, come dicevo, ho ascoltato bene e sono sicuro: è un virus. Un virus che impedisce di uscire. Siamo prigionieri di un virus. Si può solo guardare dalla finestra. Forse questo virus l’avevo preso anch’io, allora, perché anch’io non potevo uscire prima, prima di incontrare i miei umani intendo. Stavo in un posto, in un piccolo recinto, con la mia cuccia, e il fuori potevo solo guardarlo dalle sbarre del recinto. Sì, sarà stato un virus, anche quella volta, perché se no non si spiega. Infatti mi ricordo che qualche volta , mentre stavo lì, sentivo dire: certa gente andrebbe curata, sono malati nel cervello…, doveva essere proprio un virus, allora. Uno un po’ diverso da questo, magari, che quando ti prende ti fa fare cose…cose come abbandonarmi in mezzo a un corso pieno di macchine, chiudere lo sportello dell’auto e via. Ecco magari è andata così, ora me lo spiego. Fortuna che come sapete di base sono terrier, quindi non mi sono mai perso d’animo, e ora sono qui. Qui con i miei umani e li sto tirando su proprio bene.

Umani

Ho due umani, no, anzi ne ho tre, per essere precisi, uno è un tizio un po’ nomade che si fa parecchio gli affari suoi, gli altri due sono meno indipendenti, anche emotivamente secondo me, mi stanno sempre intorno. Ma ci sto lavorando. Comunque tutti e tre sono un po’ strani in questi giorni, intendo strani anche per essere umani. 

Fermate il mondo, voglio scendere. Lo dice la mia umana ogni tanto. Non ho ben capito se vuole scendere giù, in cortile. Ma tanto lei ha quella bella stanza tutta lucida, con quella specie di sedie bianche per “scendere”, quindi dove deve andare? 

Poi quando lo dice, ride e prende la mia testa tra le mani e mi fa le smorfie. Arriccia il naso e lo strofina contro il mio. Che poi non è che mi piaccia tanto. Ha un sacco di odori forti la mia umana, profumi li chiama, soprattutto quando esce da quella stanza tutta lucida. Mi viene da starnutire. Ma mi piacciono le sue mani. Sanno di latte, mi pare o di qualcosa che è solo un ricordo. E poi certo sanno di cibo, che mi piace, anche quello. Raccoglie le briciole dei biscotti con le dita, una a una, quando ha finito di fare colazione e sopra le sue mani rimane l’odore grasso del burro, della crema. Le sue mani sono un bel posto dove mettere il muso. E poi così lei mi parla. Anche adesso: siamo in bel guaio. A me non pare. Mi guardo intorno. Mi sembra tutto come sempre. C’è solo un po’ meno rumore. Non capisco bene. A scusate la mia umana si chiama Luce. Non è la mia mamma, lei ogni tanto lo dice, ma non è così. Come ho già detto so ascoltare, sono un bravo cane che sa ascoltare e quindi so con assoluta certezza, per via di una serie di indizi che non è la mia mamma, siamo amici, molto amici. Anzi amici e basta. 

Anche l’altro mio umano ha un odore. È differente da tutti gli altri. Il suo odore è collegato direttamente con qualcosa che ho dentro, forse un altro naso, non so con precisione, sull’anatomia canina ho ancora parecchio da imparare. Il suo odore mi fa venire voglia di ridere, mi sale la voglia da dentro, come un solletico allo stomaco. Il suo odore è diverso da quello di Luce. Più discreto, va bene per il mio naso. È odore come quello che hanno i boschi, l’odore dell’aria fresca al mattino, mischiato a quello che hanno quei cosi pieni di parole che chiamano libri. Le sue mani sanno di tutte quelle parole che stanno nei libri. E di vento. Mi ha detto che sono il suo migliore amico. Lo sapevo già ad essere sinceri, sono un bravo cane e certe cose le so. Il mio umano si chiama Pietro 

E sì, anche il terzo umano ha un odore. Noi cani sugli odori potremmo scrivere dei trattati. Ad esempio quando io vado a fare la passeggiatina sotto casa potrei dirvi esattamente chi è passato di lì, quanto si è fermato, con chi ha parlato, se era di buon umore se aveva fretta. Gli odori dicono tutto a un buon naso come il mio. Ma non divaghiamo. Il terzo umano, anche lui profuma, non come l’umana femmina, un profumo più penetrante, preciso, ma anche, non so, come dite voi, commovente. Una volta ricordo che sono passato di fronte a una casa enorme con un portone grande di legno con tante figure intagliate e da dentro veniva un canto basso cadenzato e quell’odore, dolce, denso. Non so cosa sia, non lo avevo mai sentito prima e non l’ho sentito su altri. Il mio terzo umano è un tipo particolare. Si chiama Arturo. E in questi giorni mi pare meno strano degli altri due, certo è un po’ che non si fa vedere, ma come vi dicevo è un tipo più indipendente quindi credo non ci sia da preoccuparsi. 

Sono i miei umani e io ci tengo, bado a loro, li tengo allegri se serve. Mi sdraio vicino sul divano, se li vedo un po’ giù, appoggio il mio muso sulle loro gambe e loro sorridono grattandomi la testa. Umani, in fondo ci vuole così poco.